Siamo ormai agli sgoccioli della stagione agonista, e spesso il ciclista avverte il bisogno di uno “stacco” da allenamenti e gare. In questo periodo va alla ricerca di riposo ed una eventuale attività libera “a sensazione”. A parte il chiaro bisogno psicologico che si può avvertire in tal senso, siamo sicuri che ce ne sia uno altrettanto valido dal punto di vista fisico, e che invece questa interruzione non possa essere per certi aspetti deleteria? Come sempre il discorso va visto nel suo contesto, e per questa fase definita “Periodo di Transizione” non esiste una formula adatta a tutti, ma va personalizzata. Ecco alcuni consigli pratici.
Il mese di ottobre rappresenta per molti la chiusura della stagione di gare, qualcuno ancora ha due/tre granfondo da fare e per questo mantiene un buon livello di allenamento settimanale non tralasciando i contenuti specifici fondamentali. In ogni caso si arriva a questo punto dell’anno con un certo bagaglio di chilometri nelle gambe, lavori specifici e gare; è per questo che, anche una flessione di lavori qualitativi in questo mese, non è detto che corrisponda ad un calo in termini di prestazione, anzi… Qualcuno di voi avrà sperimentato un ottimo livello di forma ed ottimi tempi sulle salite di riferimento, nonostante in settimana qualche ripetuta in meno o un giorno di riposo in più non preventivato. Questo perchè alcuni aggiustamenti sono divenuti adattamenti abbastanza stabili, rimangono in essere e magari si vanno a sommare ad un grado minore di stanchezza.
Questo concetto è chiaro anche grazie al valore TSB (training stress balance), dove il concetto di “Forma” e idealmente ottenuto dal rapporto tra livello di allenamento e livello di fatica.
La pausa di fine stagione va strutturata anche in base a come l’atleta ci arriva. Capite bene che: l’atleta A con 25000 chilometri e trenta granfondo avrà un reale bisogno di recupero diverso dall’atleta B con 10000 chilometri e sei granfondo. Oltre ai volumi di lavoro e all’attività di gara, va anche valutato l’aspetto psicologico dell’atleta, cioè quanto è “costata” mentalmente questa attività all’atleta? Anche qui, un conto è inserire 12/15 ore di allenamento a settimana (se fatte bene non sono poche..da amatore) nella vita dell’atleta A di 30 anni che ha un lavoretto saltuario ed è fidanzato, un conto è inserirle nella vita dell’atleta B sempre di 30 anni, ma con lavoro importante 40/60 ore settimanali, moglie e due figli. Sicuramente l’atleta B risulterà a fine stagione con un serbatoio di energie nervoso totalmente vuoto rispetto l’atleta A.
In sostanza se ci si autogestisce va fatta una analisi a ritroso di quanto si è fatto (volumi di lavoro e gare) e degli aspetti psicologici attuali (motivazione, ecc..) e programmare una pausa di qualche giorno (fino a 7/10 di solito), sapendo che in ogni caso anche se la pausa fosse leggermente più lunga del dovuto, gli obbiettivi sono talmente distanti (marzo) che si potrà comunque rimediare.
Se la condizione è molto buona, prima di staccare è consigliabile eseguire presso una struttura qualificata dei Test di Valutazione funzionale, per “fotografare” cosi alcuni indici funzionali di riferimento per avere quindi un 100% su cui regolarsi e rilanciare nei mesi futuri. Possiamo ad esempio controllare il VO2max (massimo consumo di ossigeno) per avere informazioni sullo stato metabolico del soggetto, verificare i livelli di forza (massima, dinamica massima, ed esplosivo-reattiva) per avere il quadro dello stato neuro-muscolare del soggetto, controllare la composizione corporea (peso, BMI, massa grassa % e distribuzione, massa cellulare) per controllare un eventuale stato catabolico o sovrappeso da correggere.
Come già detto in altre occasioni, in questo periodo sono ammissibile alcuni giorni di riposo (se c’è la necessità) proprio come separazione tra la stagione conclusa e l’inizio del lavoro di preparazione per la successiva. In questa scelta la fisiologia supporta la nostra tesi, e ci dà libertà in un periodo che racchiuderei tra i tre ed i dieci giorni (da contestualizzare). E’ sconsigliabile andare oltre dal periodo di sosta totale in quanto sarebbero troppo marcati gli effetti del de-training e di conseguenza lenta e faticosa la ripresa.
Tra questi effetti ricordiamo i tre principali, a carico del:
Una buona transizione è spesso una delle cause del successo o meno della stagione futura. Riprendere il lavoro senza residui di fatica ma molto vicini a livello di condizione ai propri valori best è idealmente l’approccio ottimale, per raggiungere nel giro di qualche anno i propri limiti. L’entita’ della pausa è proporzionale al livello dell’atleta ed ai suoi volumi di lavoro abituali, più questi sono elevati tanto più qualche giorno di riposo non potrà che essere favorevole ed auspicabile al termine di una lunga ed impegnativa stagione di allenamenti e gare. Al contrario, chi per diversi motivi fa poco e di continuo prende e perde la condizione di fitness di base, non ha bisogno di nessuna pausa.
La scelta dello sport alternativo nel periodo autunno va visto caso per caso e vanno valutati i rischi. E’ ovvio che più è alto il livello dell’atleta, più è controproducente (si abbassa il rendimento meccanico) e rischioso (doms ed infortuni vari da attività nuova) una nuova attività, ed onestamente non troviamo nemmeno una motivazione a supporto. Inoltre i concetti di rompere la monotonia, “staccare” di testa dalla bici, per atleti high level sono motivazioni imperseguibili. Diverso è il discorso di chi ha poco tempo e può trarre un vantaggio in termini di adattamenti fisiologici anche da altre attività che portano via poco tempo.
In questo caso i vantaggi sono diversi:
Alcuni esempi sono la corsa, il nuoto, lo sci di fondo, ed in ottica full-body il crossfit, valutando: