I crampi nel ciclismo, come in qualsiasi altra attività sportiva, rappresentano un probabile inconveniente. Se insorgono durante una competizione possono rovinare la prestazione sportiva e vanificare i sacrifici sostenuti durante la preparazione. Tutti sappiamo riconoscere un crampo e conosciamo le sue conseguenze. E’ comunque utile ricordarne le cause e introdurre tra queste un fattore di rischio che spesso viene omesso, ovvero il setting della bicicletta.
Il ciclista è esposto a crampi in varie zone, ma possiamo identificare gli arti inferiori come maggiormente a rischio rispetto al resto del corpo. Indubbiamente questo è dettato dalla condizione personale e dallo stress richiesto con l’attività, quindi non è possibile creare una classifica per casistica che sia precisa, ma volendo comunque comporre un podio delle aree maggiormente esposte, possiamo immaginarlo cosi (in ordine misto):
Nella nostra analisi poniamo l’attenzione ai crampi localizzati all’interno coscia, le altre aree hanno comportamenti analoghi e subiscono stress simili per cui vale la stessa considerazione (riferita a tempi e fasi del gesto diversi).
Analizziamo l’attività dei muscoli coinvolti tralasciando le cause organiche. Cerchiamo di spiegare come un posizionamento scorretto possa esporre maggiormente il ciclista al rischio crampi.
Descriviamo brevemente le cause comuni del crampo. È sicuramente un argomento ridondante di molte discussioni sul web, in questo articolo ci focalizzeremo sulla correlazione tra settaggio della bicicletta ed esposizione al rischio crampi.
Il crampo è una contrazione improvvisa e duratura di uno o più muscoli e le cause che scatenano questa problematica possono essere identificate in:
Per rispondere a questa domanda propongo un test effettuato in studio, dove analizziamo la contrazione di quattro muscoli dell’arto inferiore maggiormente esposti al rischio crampo.
La misurazione è stata effettuata su ciclo ergometro e ha reso possibile l’individuazione del diverso coinvolgimento muscolare a seguito di diversi posizionamenti del sellino, mantenendo invariate le altre quote (come sterzo e placchette dei pedali).
Nelle analisi è stato deselezionato l’adduttore per una migliore visibilità e comprensione del grafico. L’immagine vede alternati nella cadenza ciclica del gesto della pedalata i quattro muscoli presi in esame (di un solo arto).
Per comprendere meglio:
Possiamo vedere come le fasi di spinta (rappresentate con la curva gialla che segna l’attivazione del vasto mediale) sono armonicamente alternate con le fasi di tiro (attraverso la linea rossa e la linea bianca con l’attivazione del tensore e del gracile).
Questo tipo armonia è garantito da un settaggio corretto sul mezzo, dove all’aumentare dell’intensità si ha una crescita delle attivazioni proporzionate al carico.
In questa seconda immagine si propone un settaggio (in chiusura), che vede una riduzione del tempo delle fasi di attivazione muscolare (pizzicate) ed un aumento violento delle contrazioni di tutta la muscolatura, con maggior stress per i muscoli.
Gli arti troppo flessi riducono la loro escursione e anche il tempo di contrazione. Di conseguenza diminuisce l’efficienza e la forza massima ed aumenta il carico stressante.
In questa terza immagine si propone un settaggio in eccessiva “apertura”. Possiamo notate l’attivazione differente rispetto ai setting precedenti, con gran carico dei muscoli flessori rispetto agli estensori.
Questo perché pedalare troppo indietro con il sellino non permette una buona spinta sul pedale e trasferisce parte del lavoro alla muscolatura coinvolta nella risalita della pedivella.
Con questi tre esempi abbiamo potuto notare come la posizione del sellino possa agevolare o meno le contrazioni muscolari dei singoli muscoli. Sono solo tre esempi di settaggio, ma le diverse condizioni posturali dei ciclisti e le diverse richieste di sforzo delle varie discipline rendono la possibilità di questi settaggi molto ampie e personalizzabili.
La muscolatura analizzata infatti, non ha solo la funzione attiva e passiva nella rivoluzione della pedivella, ma lavora sinergicamente anche per stabilizzare l’arto e mantenere l’asse meccanico ottimale durante la spinta ed il tiro. Condizioni di spinta decentrate (ginocchio varo o valgo, piede supinato o pronato, bacino ruotato) procurano maggior stress alla muscolatura stabilizzatrice e gravano maggiormente sul carico complessivo del lavoro dell’arto.
CONCLUSIONI